Turista nella mia città

Qualche giorno “OOO” trascorso nella mia città, Bari, dove tutto è cambiato pur rimanendo uguale a sé stesso. Sarò cambiata io e lo sguardo con cui la contemplo, ma il fascino del posto dove sono nata mi è sembrato folgorante, prepotente, malinconico. In parole semplici, Bari mi è sembrata bella. E tutta da scoprire.

Sono tornata da una piccola vacanza nella mia città, Bari. E lì, in mezzo ai peccati veniali (e capitali) di sempre, ci ho visto una nuova bellezza, tanta vita, storia, cultura, buon cibo, vicoli, locali bellissimi, scorci da foto. E una luce incantevole, quella sì, sempre uguale a quando la guardavo da bambina dal 7° piano di quell’affaccio sul Libertà, uno dei quartieri più multietnici della città. E per multietnico intendo non solo cinesi, africani, indiani, rumeni, albanesi e chi più ne ha più ne metta. Ma anche condomini abitati contemporaneamente da avvocati e venditori ambulanti, liberi professionisti e piccoli artigiani, coppie giovani e anziani pensionati. Ed è questa poliedricità che emerge prepotente, riflessa nelle forme dei palazzi del borgo antico, fra le colonne che si ergono davanti ai “sottani” sempre aperti, le edicole votive addobbate con fiori freschi e candele finte, dentro le linee rette e rigide del catello e del suo fossato.

Ho guardato Bari con occhi diversi, e l’ho trovata bella. Caotica, ma bella. Calda ma bella. Non perfettamente pulita, ma bella.

Gli altari votivi nella Città Vecchia

Mi sono meravigliata nello scoprire posti che ancora non conoscevo, eppure sono sempre stati lì. Nel vedere turisti curiosi e affascinati perdersi nei vicoli più nascosti della città, dove prima neanche gli autoctoni si addentravano.

Gli archi nei vicoli

E poco importa se alle 14.30, durante la “controra” c’è sempre quello che passa con un impianto stereo da far invida al palco di un concerto dei MUSE, sparato a 1000 con la solita bachata. O se alle 22 di un normale sabato sera ti affacci e assisti ad un concerto neomelodico con assembramento che avviene a pochi isolati da casa tua. E c’è sempre, almeno una volta, un mini fuoco di artificio che festeggia chissà cosa, chissà chi.

L’architettura dei palazzi e delle chiese

Ritrovarmi a guardare la piazza della Cattedrale e cercare con lo sguardo fra quelle case così familiari, quella di Lolita Lobosco, la serie Rai ambientata proprio a Bari che mi ha restituito una cartolina della mia città così che mi ha scaldato il cuore durante il lockdown.

Ammirare, forse per la prima volta in tutta la loro bellezza, Palazzo Mincuzzi che si erge tronfio su via Sparano o Palazzo Fizzarotti che con i suoi lineamenti orientali testimonia un’integrazione popolare e culturale che qui è tangibile e storica. Del resto “a Bari nessuno è straniero, nemmeno Guerrero!”

Folklore e cultura nel Borgo Antico

La focaccia al Panificio Fiore, tappa obbligata dei minitour che ormai sono un appuntamento imperdibile per me e mio padre, che mi accompagna nei vicoli della città vecchia e mi fa immergere nelle foto in bianco e nero, quelle della sua infanzia che sfogliavo da piccola e ancora oggi guardo (e qualcuna lo anche incorniciata qui a Milano!). Mi racconta aneddoti e saluta persone, che mi sorridono e a volte chiedono “chi è, tua figlia piccola?”. Perché qui ho sempre un nomignolo, che alterna un malinconico “la milanese”, che infondo a Bari siamo abituati almeno dagli anni ’50 ad avere in famiglia almeno uno zio emigrato in Argentina o in Canada (o a Milano appunto). O l’alternativa più “intima”, perché qui (almeno qui) sarò sempre e comunque la figlia minore, e quindi a vita la “piccolina” (in gergo, “la p’ccinon“).

Il cielo blu di Bari

E notare con meraviglia una vera e propria esplosione di un’attività commerciale fino a pochi anni fa sconosciuta o addirittura impensabile: Airbnb, Bed & Breakfasts, alberghi e ostelli. Tutti bellissimi. E così che le classiche case “sus, mezz e abbasc“, ovvero mini palazzine sviluppate su 3 livelli, il piano terra, l’ammezzato e l’ultimo, spesso anche con tanto di terrazzino, si sono trasformati in strutture ricettive incantevoli. Nascoste fra i vicoli del borgo antico o nelle strade principali del quartiere Murat.

E ancora resiste l’abitudine di sedersi fuori dalle porte delle abitazioni, sulle panchine in giro per la città, sulle ringhiere del Lungomare a chiacchierare, a guardar passare la gente, a vedere si l’ennesima Peroni galleggiante, ma anche meravigliosi tramonti, che sempre si tingono di rosso.

I vicoli in cui perdersi

Ed è così che ancora una volta mi sono immersa e persa nella mia città, per riemergere e ritrovarmi a guardarla con occhi incantati, con amore infinito e con una grande malinconia. Non triste, piuttosto romantica: quella di chi più di 10 anni fa è andata via forse non sapendo perfettamente cosa stesse facendo. Di certo non stavo scappando dalla mia città e dalle mie radici. Ma adesso che ci ritorno, ogni volta che ci ritorno, capisco sempre di più cosa significa per me. E sento il peso della “condanna dell’emigrato“: doversi dividere da chi ama, anche quando torna a casa e vuole vedere tutti, ma non ci riesce. Vorrebbe passare più tempo possibile in famiglia a restituire quello che ho tolto in tutti questi anni, chiacchierare fino a notte fonda con gli amici, provare a conquistare qualche sorriso dei loro bimbi che intanto crescono e tu sei solo una “comparsa” di qualche giorno particolare.

E allora cerco per le vie di Bari la forza e l’amore, l’energia e la poesia che solo i luoghi che ti hanno visto crescere ti sanno restituire. Perché questa è casa, e sempre lo sarà.

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